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Trento, tra etichette e silenzi: il degrado non ha cittadinanza

  • Immagine del redattore: Martina Margoni
    Martina Margoni
  • 3 giorni fa
  • Tempo di lettura: 3 min

È accaduto un fatto grave in città, gravissimo. E ci sono due notizie.

Nelle scuole di giornalismo spiegavano che “notizia” non è un cane che morde l’uomo, ma l’uomo che morde il cane. Quanto accaduto nei giorni scorsi a Trento, va oltre: perché il cane è stato ucciso violentemente, brutalmente. Era a spasso nella centralissima piazza da Vinci la cagnolina Nika. Insieme ai suoi proprietari. Un uomo, passando, ha sferrato un calcio letale per il piccolo animale. Un fatto scioccante.

Ma c’è una notizia nella notizia: il sindaco di Trento via social nel riportare l’episodio si è affrettato a sottolineare che il protagonista dell’orribile gesto “è trentino”.

Come se i crimini dovessero avere una nazionalità. A meno che non volesse sottintendere che chi, motivatamente, denuncia da anni il degrado della zona non lo faccia, in fondo, per questioni di razzismo, perché vedete poi sono i nostri trentini che fanno le cose peggiori. Questo sembrerebbe dire il sindaco; auspichiamo una sua smentita o un chiarimento.

Perché se questo era il sottotesto è grave. In un sol colpo da un lato si tende a spostare l’attenzione dalla questione centrale, ovvero il degrado della zona. Al contempo si mira a “etichettare” e colpevolizzare nemmeno troppo velatamente chi da tempo segnala, motivatamente, il decadimento di tutta quell’area. Il degrado, così come la delinquenza, non ha etnia. Non ha provenienza geografica. Piuttosto origina da un disagio profondo, da uno stare male personale che si fa criticità collettiva, sociale.


Al netto di chi miseramente cavalca il tema e lo strumentalizza per calcolo elettorale, c’è una reale criticità, enorme, da affrontare. Il protagonista di questa vicenda sembrerebbe figura nota, bivacca spesso in centro città accovacciato a terra chiedendo l’elemosina. E quando è in presumibile stato di alterazione il suo fare diventa molesto. Ci risulta che più cittadini avessero segnalato il caso. Che è anzitutto umano. Si dirà che la filiera di provvedimenti è complessa e di non facile esecuzione. Che la libertà personale prevale sulla possibilità di un’amministrazione di occuparsi di un singolo caso eccetera, eccetera, eccetera. Ma a forza di “sì dirà” la criticità sta assumendo proporzioni incontrollabili. Così come le decine di persone che restano in strada e che null’altro hanno da fare se non aggrapparsi a una bottiglia di birra fin dalle prime ore del mattino è evidente esprimano anzitutto un disagio personale.

E ancora, il crocchio di spacciatori spesso molesti prevalentemente tra via Pozzo e l’inizio di via Cavour è palese assecondino una domanda, sempre più crescente e sempre più riguardante anche i giovani. Tutto questo racconta di un’altra Trento, “gente non felice”. Ma che avrebbe diritto alla felicità, come tutti.


Il degrado non è che la manifestazione concreta di un malessere profondo. È la punta di un iceberg che non si può continuare a non vedere. La Trento “che fa stare bene” deve sedersi attorno a un tavolo e comprendere tutti i fattori che hanno portato a questa situazione e affrontarli. Si tratta di un approccio multidisciplinare al tema. Perché è tutto troppo e tutto troppo concentrato in una città di poco più di 100.000 abitanti.

C’è una Trento che non sta bene: chi subisce gli effetti di queste criticità e la denuncia, da tempo, non è che il termometro. Ma c’è una febbre da curare. È il disagio umano, sociale, profondo e diffuso, che Trento esprime con questi episodi.


Martina Margoni

Claudio Geat

Consiglieri Comunali di Generazione Trento



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